Visita San Pietroburgo!
Guida turistica italiana a San Pietroburgo offre le visite guidate
Vi invito a prenotare le visite guidate a San Pietroburgo. Sarò in grado di darVi dei consigli utili per quanto riguarda l’organizzazione del tour, tempo libero, alloggio, cucina tipica e eventi culturali. Cercherò di rispondere a tutte le Vostre domande e soddisfare le Vostre richieste.
Qui di seguito sono riportate alcune informazioni interessanti sulla storia di San Pietroburgo e sugli eventi importanti che qui ebbero luogo.
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FONDAZIONE DI SAN PIETROBURGO
All’inizio della Grande Guerra del Nord (1700-1721), Pietro si impadronì degli avamposti svedesi sulla Neva, e nel 1703 fondò la Fortezza dei SS. Pietro e Paolo sul fiume, a pochi chilometri dal mare. Il 27 maggio (il 16 maggio nel calendario giuliano allora in vigore) del 1703 iniziarono gli scavi per erigere la fortezza sull’isola delle Lepri, in una zona paludosa e selvaggia al centro della Neva, dove il fiume sfocia nel golfo di Finlandia. Quando Pietro il Grande sconfisse definitivamente gli svedesi a Poltava nel 1709, la città, che secondo l’usanza olandese chiamò Sankt Pieter Burkh, cominciò a crescere. Così San Pietroburgo fu fondata su 101 isole circondate dal Mar Baltico e dal fiume Neva. Su ordine dello zar vennero scavati tanti canali per bonificare le paludi della sponda meridionale. Oggi la città è famosa per questi canali fiancheggiati da sontuosi palazzi e residenze degli zar e zarine, ai quali deve il suo secondo nome – la Venezia del Nord.
Il nobile sogno del sovrano era aprire una finestra che si affacciasse sull’Europa. Affidò questo progetto grandioso all’architetto svizzero Domenico Trezzini. Un altro nome importante nell’edificazione della “Seconda Venezia”, è quello dell’architetto italiano Francesco Bartolomeo Rastrelli. Ancor oggi possiamo ammirare il Palazzo d’Inverno, il Palazzo di Caterina a Tsarskoe Selo, il Palazzo Grande a Peterhof da lui progettati.
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Tra i tanti obiettivi di Pietro I vi era quello di fare di San Pietroburgo uno dei porti commerciali principali del paese. Lo zar desiderava una città all’avanguardia, la “seconda Amsterdam” o la “terza Roma”. Nel 1712 San Pietroburgo divenne la nuova capitale dell’Impero Russo e rimase tale fino al 1918. E fin’ora viene chiamata la Capitale del Nord della Russia.
Durante la sua storia la città cambiò più volte il suo nome. Il nome originale Sankt Piter burkh era in realtà olandese perchè Pietro il Grande aveva vissuto e studiato in quel paese per un certo periodo di tempo ed era un ammiratore della corte e dell’architettura olandese. Tra il 1741 e il 1825, sotto la corte di Elisabetta, Caterina la Grande e Alessandro I, la città divenne cosmopolita ed ebbe una corte di noto splendore. Questi monarchi commissionarono molti palazzi, edifici governativi e chiese, rendendo San Pietroburgo una delle più importanti capitali d’Europa. Nel 1914 la città diventò Pietrogrado, perchè i cittadini non volevano che il nome suonasse “alla tedesca”. Quindi la parola tedesca “burgo” fu sostituita con quella slava “grado” che vuol dire città.
Nel 1917 Pietrogrado fu la culla della rivoluzione. Proprio qui le proteste dei lavoratori portarono a uno sciopero generale, all’ammutinamento dei soldati e alla fine della monarchia. La città assunse il nome di Leningrado dopo la morte di Lenin (capo del movimento rivoluzionario russo) nel 1924. E rimase tale fino alla caduta del communismo. Nel 1991 dopo un referendum popolare la città torno a chiamarsi San Pietroburgo.
Oggi è sicuramente la 2 città più importante della Russia, sia per la popolazione che conta circa 5 milioni di abitanti, che per il territorio (piu` di 1500 km.q.). Tutto il suo centro storico è dichiarato da Unesco Patrimonio dell’umanità.
San Pietroburgo viene chiamata la capitale culturale della Russia. Infatti, la maggior parte del patrimonio nazionale culturale sta qui. Praticamente è un museo all’aperto. E` strettamente legata ai nomi dei celebri pesonaggi della nostra letteratura e musica. Qui vissero e lavorarono Dostoevsky, Gogol’, Pushkin, Nabokov, Chaykovsky, Rimsky-Korsakov, Shostakovich ecc. Nella nostra città soggiornarono scrittori stranieri. Basta nominare: D. Didrot, famoso enciclopedista francese, Giuseppe Verdi, List, Shtraus ecc. San Pietroburgo fu ideata da Pietro il Grande come una città europea. Lui personalmente invitava gli architetti stranieri a costruirla. Ecco perchè San Pietroburgo è la più “occidentale” delle città russe.
San Pietroburgo colpisce soprattutto per la sua architettura. La zona centrale vanta dei quartieri che sono tra i più belli del mondo, essi costituiscono un’affascinante vetrina degli stili architettonici in voga nel diciottesimo e nel diciannovesimo secolo. Da Pietro il Grande a Nicola I, fino alla metà del diciannovesimo secolo, ogni zar ha dato il suo impulso a un diverso stile architettonico.
La visita della nostra città può quindi essere immaginata come una escursione all’interno di stili architettonici che qui hanno trovato la massima espressione, grazie, nella maggior parte dei casi, agli architetti italiani. Quello tra Italia e Russia, infatti, è un rapporto che attraversa i secoli, e che ha visto, a partire dal Settecento, il suo periodo di massimo splendore. Pietro il Grande si rivolge all’Italia e chiama alla sua corte artisti e architetti italiani per realizzare la sua magnifica capitale. Tra i tanti che dall’Italia hanno messo piede in Russia per dare il loro contributo alle sfarzose edificazioni di San Pietroburgo, basta nominare: Francesco Bartolomeo Rastrelli, Giacomo Quarenghi, Vincenzo Brenna, Carlo Rossi e tanti altri. Durante le nostre escusrsioni e giri panoramici vedremo le loro opere, palazzi degli zar e dei nobili, dove vissero e soggiornarono le personalità eminenti. Passiamo per le vie che portano i loro nomi.
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RIVOLUZIONE 1917
Quando la prima guerra mondiale scoppiò nell’agosto del 1914 si decise di cambiare il nome della capitale russa dal germanico San Pietroburgo per l’equivalente più russa, Pietrogrado. La Germania era ormai nemico della Russia e tutte le forze all’interno del paese dovevano essere impiegate per sconfiggerla. La maggior parte della industria della città ha cominciato a lavorare per sostenere lo sforzo bellico. I lavori di costruzione si fermarono.
La guerra non procedeva bene per la Russia. Il governo dello zar fu screditato e le tensioni politiche cominciarono a salire. Per aggravare ulteriormente la situazione, le forniture alimentari scarseggiavano significativamente verso la fine del 1916. Situata nella zona nord-occidentale dell’Impero russo, Pietrogrado veniva rifornita attraverso la rete ferroviaria, che però subiva gravi guasti durante la guerra, rendendo sempre più difficile il rifornimento.
Pietrogrado entrò nel nuovo anno con i suoi abitanti infuriati che attendevano in lunghe file di comprare il cibo nei negozi della città. La combinazione di disordini sociali e la guerra portò alla rivoluzione del febbraio del 1917 e l’abdicazione di Nicola II. La crisi politica ed economica continuò per tutto il 1917 e in autunno il partito bolscevico, guidato da Vladimir Lenin, afferrò il potere politico. Il 25 ottobre (7 novembre) 1917 il colpo a salve sparato dall’ incrociatore Aurora diede il segnale ai lavoratori e ai soldati per prendere d’assalto il Palazzo d’Inverno, la residenza attuale del governo provvisorio democratico, ma totalmente inefficiente. La maggior parte dei ministri furono arrestati e cominciarono i 73 lunghi anni del regime comunista.
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All’inizio del 1918 scoppiò la Guerra Civile (1918-1921) e i soldati e i lavoratori rivoluzionari divennero il nucleo della Guardia Rossa, in seguito trasformato in Armata Rossa. Mentre gli uomini lasciavano la città per i fronti della guerra civile, una parte significativa della popolazione migrava verso la campagna, dove le famiglie trovavano maggiori risorse per sopravvivere. La popolazione scese da 2,3 milioni nel 1917 a 722.000 alla fine del 1920. All’inizio del 1918 le truppe tedesche erano così vicine a Pietrogrado che il governo bolscevico sotto Vladimir Lenin decise di spostare la capitale a Mosca, che era ancora lontana dal fronte tedesco. Pietrogrado venne abbandonata dal governo e molti dei nomi delle strade furono modificati secondo la “moda rivoluzionaria”. Piazza del Palazzo divenne Piazza Uritski (politico bolscevico assassinato) e la Prospettiva Nevskij divenne la Prospettiva del 25 ottobre (dopo la Rivoluzione d’Ottobre). Un certo numero di monumenti furono eretti per ricordare la rivoluzione, ma la maggior parte furono mal progettati e costruiti, e non durarono a lungo. Nel 1924 il nome della città fu cambiato in Leningrado.
La Stazione di Finlandia diventò famosa come il luogo in cui Lenin, al suo ritorno a San Pietroburgo da un viaggio in Svizzera il 3 aprile 1917, fece un suo famoso discorso alla modesta folla accorsa. La stazione si trova sulla sponda nord del fiume Neva, a circa 2 km a nord dal Nevsky Prospekt.
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INCROCIATORE “AURORA”
La storica nave Aurora fu trasformata in un museo galleggiante ormeggiato. L’incrociatore, costruito a San Pietroburgo tra il 1897 e il 1900, prese parte attiva alla guerra russo-giapponese del 1904-1905 e partecipò alla battaglia di Tsusima, in cui la maggior parte della flotta della Russia fu distrutta. Dopo la guerra la nave fu utilizzata per l’addestramento del personale militare e durante la rivoluzione d’ottobre del 1917 diede il segnale (sparando un colpo a salve) per l’assalto al Palazzo d’Inverno.
Durante la seconda guerra mondiale e l’assedio di Leningrado furono smontati i cannoni e utilizzati in prima linea nelle difese della città. Dopo la guerra la nave fu accuratamente restaurata e utilizzata prima come nave – scuola per i cadetti della scuola militare Nakhimov che sta di fronte, e dopo come museo galleggiante.
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ASSEDIO DI LENINGRADO
Questo è stato senza dubbio il periodo più tragico della storia di San Pietroburgo, un periodo pieno di sofferenza ma anche di eroismo. Per tutti coloro che vivono a San Pietroburgo l’assedio di Leningrado è una parte importante del patrimonio della città e un ricordo doloroso per le generazioni più anziane della popolazione.
Meno di due mesi e mezzo dopo lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, l’Unione Sovietica fu attaccata dalla Germania nazista. L’8 settembre 1941, i tedeschi avevano completamente circondato Leningrado e l’assedio cominciò. L’assedio durò per un totale di 900 giorni, dall’8 settembre 1941 al 27 gen 1944.
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Quasi 3 milioni di civili (tra cui circa 400.000 bambini) rifiutarono di arrendersi e resistettero. Le scorte di cibo e carburante ben presto si esaurirono, il trasporto pubblico non fu più operativo e nell’inverno del 1941-42 non vi fu nemmeno il riscaldamento; mancò l’acqua, quasi non c’era elettricità e pochissimo cibo. Nel gennaio 1942, le razioni alimentari della città raggiunsero un minimo storico di soli 125 grammi di pane al giorno per persona. In soli due mesi, gennaio e febbraio del 1942, 200.000 persone morirono a Leningrado di freddo e di fame. Nonostante queste tragiche perdite e le condizioni disumane, le industrie belliche della città continuarono a lavorare e la città non si arrese. Nel frattempo, la città viveva. i tesori dell’Ermitage e delle residenze di Petrodvorets e Pushkin furono evacuati e nascosti nei sotterranei dell’Ermitage e della Cattedrale di Sant’Isacco. Molti degli studenti della città continuarono gli studi. Dmitrij Shostakovich scrisse la sua Settima Sinfonia “Leningradese” che fu eseguita nella città assediata.
Il 27 gennaio 1944 l’assedio cessò. I morti furono almeno 1 500 000 persone. La maggior parte di loro furono sepolti in fosse comuni in cimiteri diversi, la maggior parte nel Cimitero memoriale di Piskariovskoye, un ricordo senza tempo delle gesta eroiche della città.
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MONUMENTO AGLI EROICI DIFENSORI DI LENINGRADO
A sud della città e ad appena 9 km dalla linea del fronte, questo suggestivo complesso costituito da un obelisco centrale di 48 metri circondato da statue di bronzo è un tributo alla vittoria che i russi ottennero sugli invasori nazisti al termine del lunghissimo assedio.
La mostra sotterranea è tanto inquietante quanto dettagliata, e comprende un’enorme mappa in rilievo della linea del fronte, una serie di teche che espongono oggetti relativi all’assedio, informazioni dettagliate sugli eventi che ebbero luogo durante quei 900 giorni, e alcuni documentari. Le lampade di bronzo, la musica suggestiva e il battito del metronomo (l’unico suono che gli abitanti di Leningrado poterono sentire alla radio per tutto il periodo della guerra, esclusi gli annunci di allarme) contribuiscono a creare un’atmosfera cupa e raccolta.
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RASPUTIN
Grigoriy Efimovich Rasputin, il “contadino”, giunto alla corte di Nicola II in un giorno del 1905, per undici lunghi anni esercitò la sua oscura e ambigua influenza sulla famiglia imperiale e financhè sui destini politici della Russia.
Fino a quella fatale notte di dicembre del 1916 in cui trovò la morte per mano di un gruppo di congiurati – espressione della più alta aristocrazia russa – colui che la stampa schierata all’opposizione definiva il “monaco pazzo” rappresentò agli occhi dell’opinione pubblica più evoluta il simbolo vivente dei mali della Russia, del distacco tra lo Zar e il suo popolo.
Per il remissivo Nicola, ma soprattutto per l’instabile ed emotiva Alessandra, quell’uomo rozzo e apparentemente genuino, dallo sguardo magnetico e dalle doti mistiche (riusciva a curare l’emofilia di cui era affetto il piccolo zarevic Alessio) venne a rappresentare il simbolo di una Russia che in quegli anni stava agonizzando davanti ai loro occhi: la Russia contadina dei mugik, semplice e devota allo Zar e al suo potere autocratico concesso da Dio.
Negli stessi anni in cui uomini come Lenin, Trotzkj, Kerenskj combattevano una cruenta lotta per il potere che avrebbe mutato la Russia facendola precipitare nel ventesimo secolo, a corte il tempo pareva essersi fermato. Un’aristocrazia annoiata e incosciente accettò nel suo mondo la presenza di Rasputin dapprima con un senso di snobistica novità, poi con un misto di riverenza religiosa e rispetto per il “buon contadino della vecchia Russia”. Solo quando il potere di Rasputin cominciò a sconfinare dalla mondanità nella sfera politica, e solo quando parve che la famiglia imperiale dipendesse da lui anche nelle più importanti decisioni, i più accorti uomini politici e membri dell’aristocrazia si resero conto che quell’uomo andava fermato.
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La morte di Rasputin non portò però i risultati auspicati dai nobili congiurati. La coppia imperiale si isolò maggiormente dalla realtà quotidiana del paese, e si convinse di dovere difendere a tutti i costi il sacrosanto potere assoluto e autocratico che per secoli era spettato allo Zar. Nemmeno un anno dopo quello stesso potere assoluto passava a Lenin e ai suoi uomini. Sulle macerie di una Russia anacronistica e sul sangue della famiglia imperiale trucidata prima che potesse fuggire all’estero nasceva un nuovo Zar: il Partito bolscevico.
Grigoriy Efimovich Rasputin era nato nel luglio del 1871 a Pokrovskoe, un piccolo villaggio siberiano nella provincia di Tobol’sk, non troppo distante dai monti Urali. Lo stesso anno – segno della sua imminente “discesa tra gli uomini”, si sarebbe poi detto – era caduto in Siberia un enorme meteorite che aveva portato grossi sconvolgimenti nella regione. Figlio di Efim Akovlevic e di Anna Egorovna, Rasputin condusse i primi anni della sua vita senza allontanarsi dal suo piccolo mondo rurale, anche perché il padre – un uomo autoritario, secondo le semplici regole dei contadini – sosteneva che “le scuole rendevano gli uomini immorali e li allontanavano dalla religione”. Per questo motivo il giovane Grisha (come lo chiamavano in famiglia) crebbe nella più assoluta ignoranza, lavorando nei campi accanto al fratello Misha (Michail).
Il destino “visionario” di Grigorij Rasputin cominciò con una tragedia: caduto nei terribili gorghi gelidi del fiume Tjura insieme a Misha, Grisha riuscì a trarre in salvo se stesso e il fratello, contraendo però una grave forma di polmonite. Michail, per la stessa malattia, morì dopo qualche settimana, ma Grigorij – di tempra più robusta, che lo caratterizzerà per tutta la vita – cominciò un lungo periodo di degenza, con forti attacchi di febbre durante uno dei quali ebbe una visione: secondo le sue parole, la Vergine Maria gli apparve e il ragazzo guarì improvvisamente. Dopo questa esperienza Grigoriy cominciò ad interessarsi maggiormente alla religione ed al mondo dei monaci e profeti erranti che venivano accolti con assoluto rispetto nei villaggi russi. I racconti di questi uomini affascinavano Rasputin, che non mancò di notare come la gente semplice pendesse dalle loro labbra e fosse particolarmente munifica nei loro confronti.
Durante il periodo dell’adolescenza, il giovane Grigoriy ha modo di svilupparsi fisicamente in modo notevole e scopre di possedere un carisma speciale nei confronti delle donne. Il suo sguardo intenso e allucinato possiede qualcosa di magnetico, le sue parole – seppur quelle semplici di un’analfabeta – suonano convincenti alle orecchie della gente con cui viene a contatto. A vent’anni Rasputin si sposa con Praskovia Fedorovna Dubrovina. Da lei ha un figlio, che però muore dopo pochi mesi. Il dolore per la perdita del piccolo lo porta ad avere una seconda visione, un giorno, in un bosco. La Vergine gli intima di lasciare tutto e partire.
Il percorso nomade di Rasputin che, dopo un indottrinamento di un anno al convento di Verchoturje, si considera “monaco” a tutti gli effetti, tocca città come Mosca, Kazan, Kiev. Tornerà poi al villaggio natale, dove erigerà con l’aiuto di alcuni fedeli una chiesa personale in concorrenza con quella ufficiale. Nonostante i preti ortodossi lo accusino di praticare i riti dei “chlisty”, egli non lo ammetterà mai e riuscirà sempre a difendersi. Con il passare del tempo cominceranno a venire al suo cospetto numerose persone da tutta la regione e la sua fama comincerà a diffondersi. E’ a questo punto che decide di partire per San Pietroburgo per venire a contatto con le figure più eminenti della chiesa russa. E ci riesce.
Grazie alle conoscenze di influenti religiosi come Ivan Sergeev di Kronstadt, favorito dello Zar, e Il’jodor, vescovo di Caricyn e fautore del panslavismo, iscritto alla loggia nazionalista dei Veri Russi, Rasputin comincia ad entrare lentamente non solo nelle alte sfere del mondo ortodosso, ma anche in quelle dell’alta società pietroburghese. Nel salotto di Olga Lochtina, moglie di un consigliere di stato, Rasputin viene a contatto con personaggi come Anna Virubova, le granduchesse Anastasia e Militza, figlie del re del Montenegro e il granduca Nikolaj Nikolaevic. Da qui alla famiglia imperiale il passo sarà breve e naturale.
Il destino porta Rasputin alla corte dello Zar in conseguenza di un fatto drammatico. Il figlio prediletto della zarina Alessandra, Alessio, è affetto da emofilia e attraversa una crisi gravissima. Nessun dottore sembra riuscire a trovare una cura e alle orecchie dell’Imperatrice, tramite l’intervento della granduchessa Anastasia, giunge il consiglio di ricorrere a quell’uomo “santo” e dagli strani poteri di nome Rasputin. Nelle lunghe sere in società il prete siberiano aveva partecipato a sedute spiritiche e a “guarigioni” durante le quali aveva manifestato poteri fuori del comune. La fama di “purificatore” di Rasputin non era rimasta sconosciuta nemmeno alla coppia imperiale.
Rasputin viene finalmente ricevuto al Palazzo: corre l’anno 1905. Già dal primo contatto con il piccolo Alessio, riesce ad arrestare con la forza della persuasione e della preghiera il flusso di sangue che lo sta mortalmente indebolendo. In quella drammatica sera di inizio secolo – e agli occhi dell’emotiva e religiosissima zarina – l’evento può solo assumere i contorni del miracolo. Da quel giorno Grigoriy Rasputin diverrà l’ombra dell’Imperatrice, il “buon’uomo” salvatore di Alessio, “il nostro Amico”. Si creerà, tra il monaco e la zarina, un legame fortissimo, che molti arriveranno a considerare ambiguo. Questo tipo di legame diverrà pericoloso negli anni a ridosso della Rivoluzione, quando Alessandra – fermamente convinta del potere autocratico dello Zar, e decisa a farlo mantenere a un marito che invece non sembra smanioso di goderne i privilegi – costituirà un’alleanza con Rasputin in chiave fortemente conservatrice.
Per moltissimi anni la presenza di Rasputin a corte sarà vista come un’anomalia sopportabile da chi lo avversa e un motivo di interesse per chi ne subisce il fascino.
Il destino di Rasputin resta segnato quando la Russia si getta nella Grande Guerra. Il conflitto, che avrebbe dovuto essere breve, si rivela una lunga carneficina. Le convinzioni religiose di Rasputin sono comunque improntate ad un acceso pacifismo, alla fratellanza tra gli uomini. La guerra, con il suo macello degli uomini mandati al fronte avvilisce il monaco-contadino che, nell’autunno del 1915, comincia a pensare di poter influire sulla zarina Alessandra – reggente in vece di Nicola partito per il fronte – per condurre la Russia alla pace. Questa mossa, insieme a molte altre che porteranno alla nomina di ministri voluti dall’ “amico della tedesca” (come era chiamata Alessandra, principessa di origini tedesche), renderanno Rasputin inviso a molti poteri: la casta militare, l’aristocrazia nazionalista, la destra, ma anche l’opposizione liberale. Nasceranno così le teorie di complotto e delle “forze oscure”, dei traditori all’interno del paese (con chiare allusioni a Rasputin e alla zarina) che vendono informazioni alla nemica Germania. Voce principale di questi attacchi è il deputato di estrema destra Vladimir Puriskevich: in un discorso agli inizi di dicembre del 1916, il politico – acerrimo nemico di Rasputin – afferma pubblicamente di “sollevare il paese contro i suoi nemici interni, e in particolare contro il nominato Grigoriy Rasputin, affossatore della Russia e della monarchia”. E’ solo uno dei passi che porterà alla caduta in disgrazia di Rasputin il quale, in un momento drammatico come quello del conflitto mondiale, assurgerà a uno dei capri espiatori delle continue sconfitte subite dall’esercito russo al fronte. Rasputin non fa nulla per difendersi dalle accuse, anzi le alimenta continuando le proprie manovre politiche per pervenire ad una pace immediata. Negli incontri con i personaggi più influenti che gravitano intorno alla corte non manca di sostenere tesi pacifiste e riconciliatorie nei confronti della Germania. Sembra, inoltre, che Rasputin fosse divenuto bersaglio anche dell’Intelligence Service britannico, che temeva un disimpegno militare della Russia. La Germania, infatti, avrebbe potuto liberare il fronte orientale per riversare le sue truppe contro gli Alleati.
Tra il 1915 e il 1916 furono intrapresi numerosi tentativi per riuscire ad allontanare da corte il Monaco. A Rasputin offrono una somma in rubli spropositata per lasciare la capitale immediatamente e tornarsene in Siberia. Rasputin non cede al tentativo di corruzione e ne informa la zarina. Il prestigio dell’ “unico amico della famiglia imperiale” assurge ai massimi livelli, dopo questa dimostrazione di fedeltà e attaccamento alle sorti della Corona. Di fronte a questa ennesima vittoria di Rasputin, non resta che il complotto omicida. E ad ordirlo non saranno membri dell’intellighenzia liberale e progressista, che comunque vedevano in quel contadino visionario e religioso un simbolo dell’immobilismo conservatore che stavano cercando di abbattere, bensì uomini appartenenti alla più pura aristocrazia russa, e per un opposto motivo. Liberare lo Zar e la sua famiglia dalla nefasta influenza di quel contadino che stava indebolendo la Corona e molto probabilmente aspirava al potere assoluto.
Il complotto che avrebbe dovuto eliminare Rasputin fu ordito da un folto gruppo di personalità. I più rappresentativi erano sicuramente il granduca Dmitrj Pavlovic, il già citato Puriskevic e l’ambiguo principe Feliks Jusupov. Quest’ultimo era una figura molto particolare dell’alta società pietroburghese: effemminato (molto probabilmente di tendenze omosessuali), grande ammiratore di Oscar Wilde e ossessionato dal desiderio di passare alla storia, ma allo stesso tempo pavido e inconcludente, Feliks era già venuto in contatto – negli anni precedenti – con il magnetico guaritore di corte. Tra i due si era venuta a creare una strana sintonia, e sembra che Rasputin fosse in un certo modo affascinato dagli atteggiamenti del giovane aristocratico, così diverso da lui. Altro particolare non trascurabile – e intrigante per il monaco – Jusupov era sposato con una delle donne più belle di Russia, Irina Aleksandrovna, la quale era di carattere estremamente riservato e appariva di rado in società. Feliks Jusupov, benché negli ultimi anni avesse imparato a disprezzare Rasputin, cominciò ad avvicinarvisi e a frequentarlo con regolarità. Per diversi mesi il giovane principe e il rozzo contadino siberiano si incontrarono in serate dedicate alla musica (Jusupov suonava e cantava con perizia) e alla danza, che Rasputin amava spassionatamente.
La tela di ragno che avrebbe dovuto intrappolare Rasputin si andava tessendo giorno dopo giorno, fino alla data prefissata, che avrebbe dovuto cadere nella notte tra il 16 e il 17 dicembre 1916. Nel frattempo alcune voci su possibili attentati al monaco circolavano per la capitale, e lo stesso Rasputin non mancava in qualche occasione mondana di predire il proprio triste destino, collegandolo ad un’inevitabile conseguente “fine della Russia”. Nelle ultime settimane prima dell’agguato era stato convinto a lasciare raramente la propria abitazione in via Gorohovaya 64, e lo stesso ministro Protopopov lo aveva avvertito dell’esistenza di un complotto per eliminarlo. E arrivò la notte del 16 dicembre. L’uccisione di Rasputin era stata studiata nei minimi particolari: Jusupov disse al monaco che sarebbe passato a prenderlo per portarlo nella sua bellissima casa, dove avrebbe conosciuto la moglie, gozzovigliato con pasticcini e madera (il liquore preferito dal siberiano) per poi recarsi nel quartiere degli zingari. Dopo la mezzanotte, la carrozza del principe Jusupov (alla cui guida – travestito – stava uno dei cospiratori, dottor Lazavert) caricò la vittima predestinata, vestita per le grandi occasioni. Le strade della capitale, in quella fredda notte di dicembre, erano deserte, e pochi occhi indiscreti avrebbero potuto fare da testimoni. Lo stesso Rasputin – su consiglio di Jusupov – aveva evitato di dire ad alcuno dove si recava.
La scena del delitto fu in un salotto di casa Jusupov. Per due interminabili ore Rasputin attese l’arrivo dell’affascinante moglie di Jusupov (che tra l’altro non era nemmeno in città), intrattenuto dal principe con la musica, e degustando i famosi pasticcini e madera avvelenati. Il resto dei congiurati aspettava al piano superiore. Con grande sorpresa e sgomento del già emotivo principe, il rozzo contadino siberiano resisteva all’effetto del veleno (cianuro potentissimo) che aveva assimilato in quantità impressionanti, attraverso innumerevoli sorsi del vino liquoroso. Che fosse veramente un super-uomo dai poteri paranormali ? Ai primi sintomi di debolezza di Rasputin, Jusupov, in preda al panico e col pretesto di chiamare un dottore, salì al piano superiore dove convenne con gli altri congiurati di eliminare il monaco con un colpo di pistola. Se Rasputin avesse abbandonato la villa il piano sarebbe miseramente fallito. Le testimonianze a questo punto sono confuse. La cosa sconvolgente fu che, gonfio di veleno e colpito vicino al cuore da Feliks, Rasputin riuscì a riprendere conoscenza, a raccogliere le forze per uscire dalla villa (mentre i congiurati in un’altra stanza decidevano che fare del “cadavere”) e a gettarsi in fuga nel giardino innevato verso il cancello d’uscita e la salvezza. Rincorso e raggiunto a pochi passi dal cancello dai congiurati, fu ripetutamente colpito al cranio da Jusupov con un manganello: pochi secondi e venne la morte. Con l’aiuto dei domestici il corpo di Rasputin venne avvolto in una coperta, legato e gettato nel fiume. Il 19 dicembre veniva ripescato il corpo congelato e devastato di Grigoriy Rasputin. L’autopsia rivelò l’assenza di tracce di veleno nel corpo della vittima, e questa sarebbe per alcuni storici la prova che il tentativo di avvelenamento non fu nemmeno messo in atto.
La zarina Alessandra accolse con disperazione la notizia, mentre diverse fonti narrano di un Nicola abbastanza indifferente all’accaduto. Negli ultimi mesi aveva infatti espresso preoccupazione per il ruolo sempre più ingombrante che Rasputin stava assumendo a corte. Forse grazie a questo atteggiamento dello Zar – ma sicuramente anche per il fatto che tra i congiurati c’erano nobili imparentati con la Corona – nessuno subì una punizione esemplare. Jusupov non venne toccato e riuscì in seguito anche ad evitare la Rivoluzione trasferendosi a Parigi e abbandonando una Russia che non era più sua. La Duma si schierò compatta a difesa di Puriskevich, che sarebbe partito con il dottor Lazovert per il fronte. Il granduca Dmitriy si sarebbe recato in Persia al seguito del generale Baratov. Terminava così l’incredibile storia di Gregoriy Efimovic Rasputin, un contadino semi-analfabeta che – come nelle vecchie fiabe e leggende dell’umanità – emerse dall’oscurità di un piccolo villaggio siberiano per toccare la vetta di un potere quasi assoluto. Ben presto ci si dimenticò di quella strana figura che per anni aveva affascinato, inquietato e terrorizzato la società russa. La Russia era sull’orlo di una tragedia molto più imponente.
In quell’uomo spacciato che, ferito a morte e imbottito di veleno, scappava arrancando nella neve inseguito dai suoi assassini, c’era tutta la Russia, la vecchia Russia fuori dal tempo, avvinghiata a un mondo che la storia stava spazzando via.